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L'analisi/ 7 marzo: trattativa in stallo per le tensioni dentro al Pd

Stallo per la crisi dei DEM. Pressing dell'Ue

Di Fabrizio Finzi ROMA

Solo l'effetto tempo potrà aiutare Sergio Mattarella nella gestione di una crisi che anche al Colle si definisce complicatissima. Il presidente sta raccogliendo dati e iniziando a riflettere su come gestire anche gli scenari più bui. Lo stallo è evidente, in questi giorni cristallizzato dalla crisi del Pd. Dove si ripete come un mantra che l'unico futuro in vista è l'opposizione. Ma l'allungamento dei tempi potrebbe far maturare tra i Dem posizioni più "responsabili" in caso di chiamata alle armi proveniente dal presidente della Repubblica. Oggi per esempio spunta una lettera di dimissioni già firmata da Renzi. Qualche ingranaggio potrebbe muoversi anche se è chiaro che bisognerà vedere quanto l'ormai ex segretario riuscirà a controllare il gruppo dei renziani che sta entrando in Parlamento.

I due vincitori delle elezioni, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, appaiono bloccati nella loro forza. La violenza del voto di protesta paradossalmente riduce gli spazi di manovra dei due leader che in questa fase non possono proporre aperture politiche e rimangono fermi a chiedere al Colle l'incarico esclusivamente a loro stessi. All'esterno è la debolezza di Silvio Berlusconi a impallare gli ingranaggi della mediazione: il Cavaliere si è messo in stand-by cercando formule che possano riportarlo al centro della scena con la contestuale ricerca ragionieristica di seggi ballerini per avvicinarsi a una maggioranza. In Forza Italia girano soluzioni alchemiche di dubbio effetto per fermare la cavalcata dei Cinque stelle verso il Pd. Come quella di lanciare il moderato Zaia nel tentativo disperato di convincere Salvini a fare un passo di lato e riavvicinare così il Pd ad una sorta di nuova larga intesa.
   
Nei palazzi della politica prende quota l'idea del Governo del presidente, con un "dentro tutti" che sembra voler esorcizzare un incubo: cioè che Mattarella, una volta espletati tutti i tentativi, possa decidere che la misura è colma e richiamare il Paese alle urne già a ottobre. Facendo anticipare una Finanziaria senza fronzoli che possa essere digerita da Bruxelles. Si tratterebbe di una sorta di ballottaggio tra Salvini e Di Maio ma forse anche la constatazione salvifica di una crisi politica-istituzionale che da troppi anni limita la governabilità in Italia.

Soluzione finale certamente comprensibile per gli elettori che con il voto hanno espresso con chiarezza voglia di cambiamento. Meno per i 645 parlamentari che dovrebbero rimettere in gioco un seggio succulento. Anche l'Europa sembra aver capito le difficoltà post-voto e frena sui tempi dei rimproveri. Ma non sulla gravità degli allarmi: in Italia già si registrano "squilibri eccessivi", tra cui alto debito e una protratta bassa produttività che comporta rischi di "implicazioni transnazionali", avverte Bruxelles. Confermando che la valutazione sul "rispetto della regola del debito" è prevista per maggio. Ci sarà qualcuno a rispondergli?

   

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