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Villoresi e Ferrari donne disperate del Nobel Jon Fosse

Villoresi e Ferrari donne disperate del Nobel Jon Fosse

'La ragazza sul divano' ora a Roma, poi a Napoli e Palermo

ROMA, 21 aprile 2024, 20:02

di Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

Non è facile affrontare e portare in scena un testo di Jon Fosse, il norvegese premio Nobel per la letteratura 2023, per quella sua atmosfera gelida, quella rabbia senza liberazione, quel tanto di assoluto negativo che segna ogni cosa, ogni personaggio nel suo girare, vivere a vuoto, come quel piatto di giradischi che alla fine in primo piano appunto gira così, senza un senso, in questo allestimento de 'La ragazza sul divano' firmato da Valerio Binasco per lo Stabile di Torino, ora a Roma e poi (26 aprile - 5 maggio) al Biondo di Palermo e (7 - 12 maggio) al Mercadante di Napoli. Il suo nichilismo è in fondo l'ultimo approdo di quello spaesamento esistenzialista contemporaneo e assenza di punti di riferimento che va dall'ironia di Pirandello agli interrogativi e attese di Beckett e il senso di minaccia di Pinter, ma nei personaggi di Fosse è come fosse quasi azzerata ogni scintilla vitale, specie nelle sue donne col loro disperato agire autodistruttivo, mentre gli uomini sono spiazzati da tanto sentire e soffrire. Alla fine quindi rischiano di essere più che personaggi, prototipi, maschere se vogliamo di una condizione, tanto che sono indicati come Donna, Madre, Sorella, Zio, senza un nome. In loro il dramma che le muove è come fosse oramai dimenticato e sepolto, resta solo insofferenza per la vita. Sin dalla prima battuta si parla di orrore, poi di paura e si arriva a confessare che ne si sa cosa conti mai nella vita, in un continuo ribadire di non farcela e disperarsi senza far assolutamente nulla. Sono personaggi annientati dall'esistenza e se Binasco parla di malinconia nei testi di Fosse, perché traduce spesso tutto in urla e rabbia, in impotenza che ha la sua espressione simbolica nei quadri che dipinge la Donna, che lei stessa definisce "di merda" sapendo di non essere una vera artista e la sua è come una pulsione a concretizzare a visualizzare il suo stato interiore? E questo giocare sulla pittura, che è uno dei temi ricorrenti nelle opere di Fosse, ci fa ricordare che Strindberg, un altro scandinavo, amava molto la pittura e anche i suoi personaggi senza redenzione, che vivono la tragedia dello scontro tra mondo reale e mondo interiore, possiamo pensare siano alle spalle di questi. La Donna è la protagonista, è quella che ricorda e via via fa comparire se stessa giovane e le altre figure famigliari come attori del teatro mentale della sua memoria. Così la vediamo passare da Ragazza bloccata sul divano (interpretata da Giordana Faggiano) che non sopporta nulla e non si sopporta, che odia e invidia la Sorella (Giulia Chiaramonte) per il suo ribellarsi attraverso il suo prostituirsi, bloccata in una sessualità provocatoria e spudoratamente esibita, appunto a Donna senza che nulla cambi. È senza speranza un tempo e ora, non sa stare con gli altri e non sa stare sola, abbandonata dal marito (lo stesso Binasco) come è stata abbandonata dal Padre, marinaio in giro per il mondo, sempre assente, e dalla madre che che cerca di sfuggire la solitudine con una storia col cognato, lo Zio delle due sorelle, che sente a momenti un qualche imbarazzo per la situazione (cui dà verità Michele Di Mauro). E quando sul finale il marinaio fa ritorno inaspettato a casa e coglie sul fatto moglie e fratello, si gira e se ne va, anche lui con una sua disperazione e accettazione interiore (ben resa da Fabrizio Contri) che sono l'assenza di ogni tragedia, di ogni senso tragico, come per tutti. Forse per questo, per questo vivere male e basta, come non avendo un passato (che non era diverso dal presente) e così nemmeno un futuro, è stata scelta tanta agitazione sia per la Donna che ha il piglio, la presenza, la tavolozza dello strazio di Pamela Villoresi, sia, anche se in modo diverso, più fisica che mentale, per la Madre di una un po' sfuggente Isabella Ferrari, poco vera anche quando cerca di dimostrare di essere ancora desiderabile, lì in scena (firmata da Nicolas Bovey, come i costumi, questi sì malinconici) accanto al divano, tra un frigorifero e una lavatrice e un poco più in là il tavolino cui siede e ricorda la Donna, mentre alle sue spalle una parete si colora, come dipinta a tratti e colori esasperati e cupi, quando non rivela alle spalle un altro spazio, un'altra camera della casa. Difficile davvero Fosse, come è difficile proporre il complesso gioco col tempo e la memoria e assieme tanta continua nichilista immobilità, senso di abbandono e assenza che forse necessiterebbero di più sfumature, di più interiorità, vista l'abilità di questo autore nel costruire e sostenere il dialogo, usare la parola, che sono la vera sostanza del suo lavoro.

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