Che cosa hanno in comune le lastre
di acciaio modulate a sbalzo, le lunghe aste di metallo a
tratteggiare vascelli siderali di Carlo Lorenzetti e i libri
lignei e le forme metafisiche di Bruno Conte? Apparentemente
poco o nulla, si direbbe, per stile e scelta dei materiali. Un
filo lega, invece, i due artisti romani da quasi 40 anni. Lo
scultore Fausto Melotti nel 1982, in occasione della mostra
'Realtà in equilibrio' che li presentava con altri autori alla
Galleria il Segno di Roma, li definì "compagni di ricerca,
anacoreti lontani dalle tentazioni del mondo. Non di mimi, si
tratta di alcune pietre portanti dell'arte". Con lo stesso
titolo li ripropone oggi il critico Giuseppe Appella, fino al 30
settembre in due grandi sale della Galleria Nazionale d'Arte
Moderna, accostandoli ma tenendoli ben distinti. "Conte e
Lorenzetti - spiega Appella - negli anni Sessanta lavoravano
nella forma, mentre le mode e il mercato guardavano all' America
e alla Pop Art loro restavano in Europa".
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