Bruciata a Sassari l'auto
dell'avvocata che assiste Luigi Pinna, il supertestimone nel
processo per la strage di Sinnai del 1991. Nelle prime ore del
mattino la Mini di Alessandra Delrio è stata data alle fiamme in
via IV novembre, centralissima via residenziale del quartiere
San Giuseppe. Sull'origine dolosa dell'incendio non c'è alcun
dubbio: secondo quanto rilevato dai vigili del fuoco e dagli
investigatori, ignoti hanno gettato del liquido infiammabile
sulla Mini 3 porte della professionista sassarese.
Se è certo il dolo, resta da chiarire il movente
dell'avvertimento rivolto all'avvocata Delrio, che proprio una
settimana fa era balzata agli onori della cronaca nazionale per
aver escluso con un comunicato che Luigi Pinna, unico
sopravvissuto alla strage di 33 anni fa, fosse stato raggiunto
da un avviso di garanzia per calunnia.
La notizia era emersa a poche ore dalla pubblicazione delle
motivazioni con cui lo scorso gennaio la Corte d'appello di Roma
al termine del processo di revisione, ha assolto ma non con
formula piena bensì per insufficienza di prove, Beniamino
Zuncheddu, ex pastore di Burcei, dall'accusa di triplice
omicidio: per i giudici, quindi, restano "perplessità sulla sua
effettiva estraneità all'eccidio".
Zuncheddu era stato ritenuto il responsabile della strage di
Sinnai e per questo ha trascorso 33 anni in carcere "da
innocente", ha sempre sostenuto l'ex pastore di 59 anni. Sino
alla pronuncia della Corte d'appello della capitale, la sua
storia processuale si era basata sulla testimonianza dell'unico
sopravvissuto all'agguato. Luigi Pinna, appunto, che nel
processo si era costituito parte civile con l'avvocata Delrio,
vittima dell'attentato incendiario di questa mattina
Era stato Pinna a riconoscere in Zuncheddu, allora 26enne, il
killer che freddò Gesuino Fadda, il figlio Giuseppe e Ignazio
Pusceddu, nell'ovile alle pendici del monte Serpeddì l'8 gennaio
di 33 anni fa, spianando la strada alla condanna poi annullata
dai giudici di Roma. Nei mesi scorsi, il super testimone aveva
ritrattato il riconoscimento, sostenendo che la foto di
Zuncheddu gli era stata mostrata da un poliziotto e che dunque
sarebbe stato indotto ad accusarlo.
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