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Milano-Sanremo, Nibali rompe il digiuno italiano

Capolavoro Squalo 12 anni dopo Pozzato

La 'mission' alla vigilia sembrava 'impossible'. Per diversi motivi, Vincenzo Nibali non poteva nemmeno sognarsi di mettere le mani (anche) sulla Milano-Sanremo, per entrare definitivamente nella storia dello sport e rompere un imbarazzante digiuno italiano che durava dal 2006, ossia dal giorno del successo di Filippo Pozzato. Nibali non aveva preparato la grande impresa, ma in cuor suo pensava di poterla realizzare, "perché stavo bene e perché avevo chiuso la Tirreno-Adriatico in crescendo". Nibali non ha vinto solo con le gambe, ma anche con la testa, approfittando di un 'vuoto di potere' che si è creato fra le salite del Berta e del Poggio, dove magari la Sanremo si può non vincere, ma certamente si può perdere. E' stato lì, a una quindicina di chilometri dall'arrivo, che lo 'Squalo dello Stretto' ha intravisto una possibilità di far sua la classica monumento di primavera, proprio lui che nasce come specialista di corse a tappe, ma da qualche anno ha cominciato a imparare a confezionare trionfi al Giro di Lombardia, consumati nel 2015 e l'anno scorso. Nibali ha perfezionato il proprio capolavoro tecnico-tattico sul Poggio, dopo essere apparso molto pimpante sul Berta.

Lo 'Squalo' ha 'azzannato' a tutta le prime rampe dell'ultima ascesa - che Torriani introdusse per arginare lo strapotere dei corridori stranieri e creare maggiore equilibrio - dopo l'allungo di Drucker della Bmc. Il gruppo è tirato da Mohoric, Nibali sta a ruota e, quando viene ripreso Drucker, è la volta di Neilands che scatta con Nibali a ruota. Spilak e Battaglin escono dal gruppo, ma è solo un'illusione. In testa rimane solo il siciliano Nibali che sembra avere una marcia in più e guadagna una quindicina di secondi. Senza voltarsi, come egli stesso ammette dopo il trionfale arrivo in via Roma, resta a galla e resiste anche all'attacco di Trentin che, a un chilometro dalla fine, molla e si risiede. Il ritorno del gruppo è tardivo, perché manca l'accordo e Vincenzo va a prendersi forse la vittoria più bella. "E dire - confessa - che dovevo lavorare per il mio compagno Colbrelli, più veloce di me". Una vittoria d'altri tempi, la sua, entusiasmante, al termine di una estenuante maratona lunga 294 chilometri, moltissimi dei quali percorsi sotto il diluvio. Nibali ha vinto da campione, con la classe e il senso della corsa che lo contraddistinguono, battendo una concorrenza assai agguerrita, capeggiata dal polacco Michal Kwiatkowski, recente vincitore della Tirreno-Adriatico e che contava anche sull'appoggio dello squadrone Sky, ma soprattutto dallo slovacco tricampione iridato su strada Peter Sagan, che mai finora è riuscito a trionfare sulla Riviera dei fiori. Da solo Nibali ha sconfitto tutti, pedalando controvento anche contro la diffidenza che lo accompagnava. Chi pensava non avesse più lo spunto di una volta, o la tenuta che gli ha permesso di vincere il Giro d'Italia (due volte), il Tour e la Vuelta, è servito. 

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