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Krauss, confronto con la 'selva oscura'

Krauss, confronto con la 'selva oscura'

Israele, il deserto e Kafka per un percorso salvifico

ROMA, 01 agosto 2018, 11:11

di Paolo Petroni

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La copertina di Selva Oscura di Nicole Krauss - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina di Selva Oscura di Nicole Krauss - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina di Selva Oscura di Nicole Krauss - RIPRODUZIONE RISERVATA

 NICOLE KRAUSS, ''SELVA OSCURA'' (GUANDA, pp. 324, 19,00 euro - traduzione di Federica Oddera).  "Provavo la crescente impressione che nei miei scritti il grado di artificio superasse il grado di verità" confessa la scrittrice, per molti versi alter ego dell'autrice, protagonista di questo 'Selva oscura', titolo di derivazione dantesca legato al perdersi e all'inconoscibile: "il caos è l'unica verità che la letteratura sarà sempre condannata a tradire, perché nella creazione delle sue delicate strutture, che evidenziano molti aspetti autentici della vita, la parte di verità legata all'incoerenza e al disordine non può che rimanere oscura". E' mossi da questo senso di oscuro, in un momento particolare della propria vita, che lei e Jules Epstein, come per vedere cosa si nasconde e rivela nelle loro radici, tornano in Israele, andando a risiedere all'Hotel Hilton. E questo albergo americanissimo, organizzato, grattacielo geometrico in riva al mare di Tel Aviv, il luogo origine di un perdersi e ritrovarsi, di una sparizione praticamente fisica e un riapparizione/riappropriazione esistenziale, per tutti e due, con due storie indipendenti e parallele che si rispecchiano solo in certi sentimenti e bisogno di cercare e risolvere qualche intimo, sostanziale problema personale e nell'ebraismo come identità culturale.

 Epstein, avvocato americano ricchissimo, chiude il proprio ormai lungo matrimonio e lo studio professionale in nome di un bisogno di ''leggerezza'' che lo porta a regalare i suoi beni e quindi appunto ad abbandonare l'Hilton senza lasciare tracce, per andare a cercare un modo e un luogo dove onorare la memoria dei suoi genitori, con i tre figli che si troveranno costretti a cercar di mettersi sulle sue tracce.
Lei è una scrittrice famosa, spesso riconosciuta dai suoi lettori, che ha lasciato marito e figli per cercare di superare una grave crisi creativa che è anche personale e in quell'albergo in riva al mare trascorreva le vacanze da piccola.

E' lì, in quel luogo in cui sente esserci un po' di se stessa, che viene contatta da un anziano studioso di letteratura amico di suo padre, il quale la coinvolge pressandola a occuparsi controvoglia di una vicenda e una valigia di manoscritti molto improbabile, appartenuta a Kafka che non sarebbe morto nel 1924 in Europa, ma si sarebbe trasferito malato e in incognito in Israele, dove avrebbe scritto un'opera rimasta inedita in ebraico. ''Per capire perché Kafka fosse disposto a sacrificare tutto e dovesse morire per arrivare qui bisogna comprendere un punto cruciale: non fu mai la potenziale realtà di Israele a ispirare le sue fantasie. Fu la sua irrealtà''. E ovviamente Kafka col suo mondo e il suo ebraismo è un nome di alta forza evocativa, abitante dell'irrealtà della letteratura e quindi abitante di una patria spirituale e ancora tutta da costruire come la Palestina.

Sarà per Epstein e per la scrittrice il confronto, e per la donna la lotta, con uno spazio simbolico come il deserto a costringerli a fare i conti con se stessi e trovare una soluzione al loro disagio spirituale e esistenziale facendoli finalmente uscire, in modi molto diversi, dalla "selva oscura".
   

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