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Lia Levi, essere ebrei a Genova nel 1938

Lia Levi, essere ebrei a Genova nel 1938

Romanzo finalista al Premio Strega e vincitore Strega Giovani

ROMA, 16 giugno 2018, 10:48

Paolo Petroni

ANSACheck

La copertina del libro di Lia Levi "Questa sera è già domani" - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro di Lia Levi "Questa sera è già domani" - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro di Lia Levi "Questa sera è già domani" - RIPRODUZIONE RISERVATA

LIA LEVI, 'QUESTA SERA E' GIA' DOMANI' (E/O, pp. 220 - 16,50 EURO) Molto si è scritto sull'ignominia delle leggi razziali fasciste del 1938, ma nulla ce le spiega meglio e le rende cosa viva e bruciante che conoscerne il racconto quotidiano, il giorno per giorno di una famiglia borghese ebrea, con i suoi sconquassi sociali, ma anche quelli privati e sentimentali che una situazione tanto estrema produceva spesso inevitabilmente.
    E' quello che fa Lia Levi in questo libro entrato nella cinquina del Premio Strega e vincitore dello Strega Giovani, partendo ovviamente da memorie personali, ma costruendo un vero e proprio romanzo che, nel suo procedere e nell'escalation di avvenimenti, si legge tutto d'un fiato.
    Quel che diventa evidente in queste pagine è quanto il mondo ebraico italiano, nonostante quelle leggi che escludevano tutti dalla vita civile, da scuole e università, dal mondo del lavoro, dal possedere persino una radio o avere un aiuto domestico, si illudesse o volesse illudersi che nel nostro paese non sarebbe potuto mai accadere nulla di più drammatico, il che è in parte vero, visto che poi il reale, tragico precipitare della situazione avviene dopo l'8 settembre con l'occupazione nazista e la Repubblica di Salò.
    La verità è che la maggioranza degli ebrei erano assai poco osservanti e si sentivano naturalmente e prima di tutto italiani. Non a caso il giorno del bar Mitzvà del giovane Alessandro, il vero protagonista del racconto, pur nella sua coralità famigliare, questi formula chiaro un pensiero: "Ci hanno levato tutto, ma qualcosa, chiamatelo come volete, se non è retorico possiamo provare a dirlo. Ci hanno regalato di forza un'identità, molti di noi no la volevano, non ci pensavano per niente, ma è così. E ora che ci hanno gettato questa corda sarebbe dissennato non aggrapparvisi. Senza questa corda saremmo ancora di più niente".
    Alessandro, bambino molto precoce, prima orgoglioso, poi qualcuno con cui la madre si sente in lotta e in conflitto, perché ha deluso le sue speranze di crescere dimostrandosi un genio e ne mina le sicurezze con la sua matura consapevolezza e attenzione-timore per il mondo in cui sta crescendo, è figlio dei Rimon, residenti a Genova: Marc, padre e marito accondiscendente, ormai italianissimo ma olandese di origini e con passaporto inglese, Emilia moglie e madre, donna borghese volitiva e legata ai suoi riti, la sua casa, le apparenze esteriori. Con loro innanzitutto il nonno Luigi, Wanda sorella di Emilia e suo marito Osvaldo, orafo di alta qualità molto ben inserito nella ricca borghesia cittadina, quindi una serie di parenti e amici vicini e lontani, le cui vite appunto cambiano in quegli anni, per ognuno in modo diverso e, soprattutto, nella divisione tra chi pensa sia meglio andarsene al più presto e gli ottimisti timorosi dell'abbandonare tutto, che pensano ci si possa attrezzare (per i giovani, per esempio, vengono attivate dalla comunità scuole private ebraiche) e restare. Ci si adatta, anche se "gli sembrava che tutto procedesse come se un treno dopo aver deragliato continuasse la sua corsa sul terreno, infido, pericoloso, pieno di buche, ma pur sempre terra ferma, rassicurante. Quello che ieri era sembrato insostenibile, oggi si riusciva a inghiottirlo quasi senza fatica". Non si scambi comunque questo per un racconto solo storico, che appunto la sua forza la trae dai sentimenti, i caratteri, gli odi e le idiosincrasie, le illusioni e l'animo, insomma la vita intima e sociale dei personaggi, il cui destino finisce per coinvolgerci con le loro peregrinazioni, con il contatto con profughi austriaci che raccontano la realtà estrema germanica, con la condanna al confino in una paesino abruzzese (dove il problema ebraico praticamente non esiste. al contrario che in città), con il riconoscersi e sentire la vicinanza con i pochi ma vivi antifascisti, assieme alle liti di coppia, alle gelosie dei successi professionali, al bisogno d'amore di Wanda restata senza figli, alle liti a scuola e poi i primi turbamenti di cuore di Alessandro. Un romanzo, una storia che avrebbe potuto finire in modo tragico e cui invece, tra difficoltà, patimenti, paure e ricatti, Lia Levi ha voluto dare un lieto fine. Per chiudere: nel '38 si riunirono i rappresentati di 23 paesi del mondo per parlare del problema degli ebrei nella Germania nazista, e, tra tante belle parole, nessuno aprì davvero le frontiere. Una situazione, come si legge in quarta di copertina, che ci ricorda il dramma dei migranti e rifugiati di oggi, in quell'inesorabile e tragico ripetersi della storia.
   
   

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