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Pollock, la rivoluzione dell'action painting

A Roma il suo capolavoro e i grandi della scuola di New York

(ANSA) - ROMA, 9 OTT - La grandezza di Jackson Pollock come cerniera tra il prima e il dopo e la vivacità di New York che negli anni Cinquanta del secolo scorso diventò la capitale del contemporaneo. Sono i due filoni che si intrecciano nella mostra "Pollock e la scuola di New York", da domani al 24 febbraio al Complesso del Vittoriano, a Roma. Un appuntamento di grande appeal in particolare per il capolavoro del grande artista, l' opera Number 27 prestata dal Whitney Museum ed esposta per la prima volta nella Capitale.

La grande tela - olio, smalto e vernice in alluminio - lunga oltre tre metri, occupa uno spazio privilegiato accanto agli altri big della pittura di quegli anni, Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline, Robert Motherwell. Una cinquantina di tele preziose, una carrellata di colori, forme e linee per raccontare gli anni dell' espressionismo astratto. "Dopo Pollock probabilmente la pittura non sarà più la stessa cosa - spiega Luca Beatrice, che con David Breslin e Carrie Springer, del Whitney Museum, ha curato la rassegna italiana -. Sarà spazio, tempo, energia, movimento, quasi ad anticipare la body art. Pollock fu il primo artista americano a conquistare la celebrità non soltanto tra gli addetti ai lavori".

La scuola di New York, che intese la pittura come "palestra di sperimentazione", ebbe il suo punto di svolta dopo l' esclusione degli esponenti dell' action painting, nel maggio 1950, dalla mostra di arte contemporanea del Metropolitan Museum. Gli "irascibili", così li definì lo Herald Tribune, reagirono segnando quel periodo con le loro produzioni anticonformiste e rivoluzionarie. Beatrice, anche nel suo testo in catalogo, offre lo spunto a considerare proprio il 1956 l' anno di inizio dell' arte contemporanea: l' 11 agosto Pollock, "gran bevitore che viveva di eccessi", morì a 44 in un incidente stradale schiantandosi con la sua auto, come era avvenuto pochi mesi per James Dean. In quello stesso anno a Londra, e non in America, il critico d' arte Lawrence Alloway coniò il termine "Pop". Erano anni di grande fermento culturale dove New York era diventata quello che Parigi era stata per il mondo dell' arte all' inizio del '900. Nel 1951 fu pubblicato Il Giovane Holden di Salinger, del 1956 è Howl di Allen Ginsberg, l' anno dopo uscì Sulla strada di Keruac, mentre nella musica a dare la linea è Miles David con Kind of Blue, del 1959.

Con la tecnica del dripping, far colare il colore sulla tela, e soprattutto lavorando sul quadro steso sul pavimento, Pollock aprì una pagina nuova. L'artista gira accanto al quadro, danza, dipinge senza usare il pennello, riversa così la sua energia creativa. Number 27, del 1950, è uno dei quadri più significativi per modalità esecutiva. "Posso camminarci intorno lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. Preferisco la stecca, la spatola il coltello", disse Pollock, di cui è riportata una frase illuminante: "Quando sono dentro il mio quadro non so cosa sto facendo".

Nel 1950 Pollock è la superstar della pittura americana ma non è solo - fa notare Luca Beatrice -. Da quasi dieci anni si parla di scuola di New York "per definire non un movimento coeso ma una sensibilità di natura astratto informale, progressivamente scevro dal realismo". "Pollock ha toccato il livello più alto nell' informale - ha detto Vittorio Sgarbi che ha accompagnato il ministro dell' Istruzione Marco Bussetti in una breve visita della mostra -. Questo tipo di pittura non si può datare agli anni Cinquanta, potrebbe essere di oggi. Gli informali attuali, quindi, che cosa possono fare di più? Bene o male lo citano o lo scimmiottano senza avere la sua energia e la sua tensione potentissima". Alla potenza nervosa del maestro dell' action painting fa da contraltare Mark Rothko con i suoi grandi rettangoli di colore, utilizzato secondo "un approccio lirico e mistico". "Se Pollock rappresenta la forza - osserva Beatrice - in Rothko si evince il pensiero, la lentezza, la meditazione, termini ancora pregni di debordante modernità". L' artista di origini lettoni, solitario e afflitto dalla depressione, il 25 febbraio 1970, convinto di avere una malattia incurabile, si uccise nel suo studio di New York.

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